La necessità di una grammatica al femminile
17 Dicembre 2023storie silenti
17 Marzo 2024Un eremo al Centro del cuore
di Carla Tzultrim Freccero
Sono giunta in un Centro di Dharma nel 1978, una casa adagiata sulle colline pisane, di fine ’800, un tempo dimora di proprietari agricoli. Mi sono trovata in una situazione pioneristica. La villa imponente, simile a un castello, era per lo più fatiscente. Abbiamo portato le pietre per aiutare a ricostruirla e abbiamo ritrovato il Dharma nei nostri cuori, retaggio di esistenze precedenti, grazie agli insegnamenti di grandi maestri del buddhismo tibetano.
Prima di arrivare in quel luogo, guidata da un’intuizione che non ammetteva repliche, avevo sognato un castello nel tramonto, circonfuso da un’aura di luce, molto simile all’edificio in cui poi sarei giunta. Il sogno portava con sè un sentimento di pace e serenità, la consapevolezza di un approdo sicuro nel quale avrei potuto trasformare la mia esistenza.
Questo significa che il monastero, il Centro di Dharma nasce, prima di ogni altrove, nel territorio del nostro cuore.
Il Centro ha acquisito nel tempo una dimensione laica, adatta a ospitare corsi di buddhismo sempre più frequentati. Il buddhismo, con l’approccio laico della sua saggezza scientifica e della sua gentilezza amorevole, è fonte di ispirazione per gli occidentali di tutti gli ordini e gradi. Le monache e i monaci appartengono a una minoranza ristretta. Fanno riferimento a un Centro perché la loro pratica necessita di una vicinanza energetica con un luogo di culto e con insegnanti qualificati, ma si trovano tuttavia in una situazione molto trafficata, spesso inadatta a sostenere un minimo di privacy, al centro di un via vai che rasenta la confusione.
Il Centro non è un monastero anche se la proiezione generale è quella che lo sia. La proiezione non si ferma qui. Sulle monache e i monaci è sovente posta un’etichetta di presunta perfezione, che poco si addice alle difficolta che essi incontrano nel mantenere i propri voti, alla loro umanità imperfetta, sicuramente alla ricerca di perfezione ma, ciononostante, non priva di defaillances. Spesso la visione di un monaco o una monaca nell’immaginazione dei praticanti laici, soprattutto quelli di recente acquisizione, è avulsa dalla realtà, intrisa di stereotipi, idealizzata e quindi soggetta alla delusione quando le aspettative vengono puntualmente disattese. I santi sono rari e anche i santi sono spesso diametralmente differenti da come si pensa che essi dovrebbero essere.
Non è finita qui. Nella tradizione tibetana, almeno quella di alcuni decenni fa, i monaci si dedicavano allo studio e le monache svolgevano cerimoniali, offrivano preghiere per il beneficio degli esseri sofferenti, si dedicavano a una pratica silenziosa e poco riconosciuta. Qualora vi fosse la buona sorte di partecipare agli insegnamenti, le monache si trovavano rigorosamente nelle posizioni di fondo, dietro ai monaci in pool position, anche se la loro pratica e la loro ordinazione risaliva a lunghi anni precedenti.
A dispetto delle meravigliose dakini realizzate sorte dal gioiello del sangha femminile, la realizzazione femminile veniva poco sostenuta se non addirittura guardata con sospetto.
Il sangha monastico femminile occidentale ha rigettato queste stigmatizzazioni, ma questo non significa che esse siano scomparse.
Questo millenario pregiudizio, nel momento in cui il buddhismo tibetano si è diffuso, grazie ai centri di Dharma in occidente, è rimasto un retaggio nell’esperienza del Sangha femminile.
Continua ad esistere nel Vinaya, la disciplina monastica, per esempio. Le monache entrano dopo i monaci e l’ordinazione completa femminile non è generalmente supportata.
Nel Centro di Dharma nel quale vivo, viene richiesto alle monache un impegno nell’ambito delle cerimonie, nell’allestimento delle sale di meditazione, nella preparazione delle offerte ecc., dovere dai quali i monaci sembrano essere dispensati.
Tuttavia, l’eguaglianza del maschile e femminile è un punto fondamentale per la realizzazione ultima, l’illuminazione, in quella parte della dottrina buddhista enunciata dal Buddha che si chiama Tantra. Possiamo definire le differenze che esistono nella percezione del maschile e femminile all’interno dell’ambito buddhista e le diversità che da questa derivano un fattore culturale.
In Occidente la discriminazione è oggetto di revisione anche all’interno delle istituzioni, un’analisi portata avanti dal femminile con saggezza e compassione, in organizzazioni come Sakyadhita, per esempio, figlie di Buddha, e altre e sostenuta da grandi personalità come il Dalai Lama.
Nella visione di uno spazio sacro da recuperare nelle aree urbane, in territori inusuali e in contesti avventurosi (l’immaginazione nel potere spirituale), il fondamento dovrebbe sostenere una perfetta uguaglianza del Sangha maschile e femminile. Da questo non si può in alcun modo prescindere.
Come prima ho osservato, il monastero nasce prima nel cuore, risuona nel cuore e poi può prendere forma all’esterno. Milarepa trovò il suo centro di Dharma in una grotta, molte donne si realizzarono in una grotta, le dakini. Ancora ai nostri giorni, una venerabile monaca buddhista occidentale di tradizione tibetana, Jetsumma Tenzin Palmo, ha vissuto 12 anni in solitudine in una grotta a 4000 metri di altitudine sull’Himalaya. E’ la più conosciuta, ma molte altre continuano ancora a seguire la via di un monastero interiore in condizioni che sembrano difficilissime ai non adepti e che sono invece luoghi di comfort per coloro che li scelgono.
Gli esempi potrebbero essere moltissimi.
Una statua di Buddha in uno spazio determina la differenza fra il sacro e il profano. In un film di Iodoroski, “La Montagna sacra” vidi per la prima volta una statua di Buddha. Era una bellissima statua dorata, imponente. Quello sguardo rivolto verso l’interno, quegli occhi estatici e profondamente benevoli cambiarono la mia prospettiva esistenziale. Ero una ragazzina ma credo di essere diventata buddhista in quel momento. Qualcosa cambiò in modo radicale dentro di me.
Ovunque vi sia una statua di Buddha, là, intorno a quel fulcro, si può erigere o si può trovare già eretto, un luogo sacro, un monastero, un Centro di Dharma.
Mettete una statua di Buddha, una bella grande statua di Buddha in un capannone industriale e questo si trasformerà in un gompa (tempio). Le persone verranno e si prosterneranno, e altri si siederanno in preghiera e faranno le offerte rituali.
Le monache e i monaci con la loro vocazione a condividere il Dharma parteciperanno con la loro conoscenza, risponderanno alle domande, aiuteranno chi ha bisogno di aiuto e che viene in quel luogo per trovarlo. Senza distinzione di genere. Secondo la tradizione tibetana i posti a sedere nelle cerimonie e negli insegnamenti sono posti secondo l’ordine di ordinazione. Nelle prime file i monaci più anziani e poi gli altri ordinati più recentemente. A seguire le monache.
Questa tradizione può essere mantenuta ma senza differenziare fra maschile e femminile. Nelle prime file monaci o monache più anziani e poi gli altri più recenti
Tanti cuscini per sedersi a gambe incrociate e sedie comode per chi non lo può fare, incensi ed essenze aromatiche per profumare l’aria. La bellezza è negli occhi di chi guarda ma anche negli occhi di chi fa della bellezza una ricerca da condividere, per allietare, per confortare, per convincere senza forzare, per trasmettere un segno di auspicio, e così via. Allora la bellezza deve essere un elemento fondante e necessario. Jetsunma Ahkon Lhamo, la riconosciuta reincarnazione femminile del grande Lama Penor Rinpoche, nel Centro da lei fondato nel Maryland, ha posto nella sala principale di meditazione, grandi cristalli di rocca che, toccati dalla luce, riverberano arcobaleni sulle pareti.
Un esempio di come catturare la bellezza presente in questo mondo.
In una sala di meditazione in un Centro di Dharma, in un monastero, in una grotta, un capannone, un garage, o ovunque vi sia un’immagine di Buddha, si inizia la meditazione predisponendo le offerte, reali o immaginate. Le offerte reali consistono in ciotole d’acqua e zafferano, secondo la tradizione indiana, e sono: acqua per lavare le mani, acqua per lavare i piedi, incenso, profumo, cibo, musica, fiori, luce.
Quando si offre al Buddha il mandala, possiamo donare tutto ciò che la nostra immaginazione riesce a creare. Lama Zopa e Khadro–la predisponevano altari e altari di offerte: cibi sopraffini, ghirlande di fiori, strumenti musicali, acqua e zafferano in grandi ciotole di cristallo, centinaia di lampade al burro che con i loro bagliori creavano un’atmosfera magica. Con le loro luminescenze dissolvevano la concretezza di ogni oggetto, rendendolo inafferrabile e incantato, sottolineando in questo modo l’impermanenza di tutto ciò che pensiamo sia patrimonio indistruttibile dei sensi.