Come un padre, come una madre
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di Carla Tzultrim Freccero
Dopo molti anni di monachesimo buddhista nella tradizione tibetana, a un soffio dal trentaseiesimo, io, insieme a poche altre, esemplari rari di “figlie del Buddha” in Occidente, mi sono ritrovata, grazie a un magnifico invito, a partecipare alla 18° Conferenza Sakyadhita, “Figlie del Buddha” appunto, nella Corea del sud.
Ero nel cuore di Seoul, a Coex, un palazzo di vetro, fra un dispiegarsi di grattacieli dalle cui trasparenze gli sguardi incontrano l’antica storia buddhista, il tempio Bongeusa costruito nel 1500.
Sulla cima della collina la statua del Buddha, nella postura in piedi che protegge i fedeli dalle loro paure, imponente, che guarda dall’alto, quasi sospesa in una meditazione senza confini, la città tecnologica.
Sono nella sala principale della Conferenza, nella platea che degrada verso il palco, con il maxischermo che riprende gli interni, le partecipanti, le relatrici, le prime file con le venerabili Tenzin Palmo e Karma Lekshe Tsomo e le altre venerabili badesse dei monasteri coreani.
“Badessa”, una parola che ha un suono così confortante. Lama Yeshe, uno dei grandi Lama fondatori del buddhismo in Occidente, era una badessa nella vita precedente. Un caso pressoché unico. Il buddhismo tibetano preferisce la rinascita maschile, sostiene che il corpo maschile offre molte più opportunità, che rinascere donna non è il massimo, si può fare di più…
Dall’alto, mi son messa nell’ultima fila (da sempre amo questo posto privilegiato da cui posso osservare in sordina) e da qui vedo un dispiegarsi di teste femminili rasate, un degradare armonico, un mandala, un disegno celeste.
Non ho mai visto tante monache insieme, nemmeno a Dharamsala, agli insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama.
E’ una visione, e anche un suono, una vibrazione sottile, è anche il cuore che batte in un modo diverso, un’identità nuova, parte di un tutto, un femminile sacro, potente, creativo, rivoluzionario. Di cui faccio parte. La mia vita come monaca arriva qui con un senso completo di appartenenza, una fioritura insperata che ha un nome: Sakyadhita.
La conferenza è una fonte di nuove proposte e molte di queste sembrano riguardarmi direttamente. Nonostante il mio inglese parziale, capisco l’essenza, che riguarda il cambiamento, amorevole, determinato, il senso del valore del femminile risvegliato nel mondo di oggi, nella parità di genere, e questo anche nel monachesimo contemporaneo.
Il monachesimo buddhista ha trovato solo recentemente una sua dimensione in Occidente. Duemilacinquecento anni di storia orientale hanno iniziato a dialogare con lunghezze d’onda differenti, lingue inusuali, civiltà che si discostano dalla naturale propensione dell’Oriente alla vita spirituale. Tuttavia il messaggio profondo, incisivo e non dogmatico del buddhismo, si è inserito scientificamente e compassionevolmente nella visione materialistica dell’Occidente, aprendo un varco che sottolinea, sempre più fermamente, la necessità di un cambiamento di prospettiva. Buddha incontra Gesù e definisce l’amore verso il prossimo e se stessi una sorgente di benessere individuale, una necessità sociale che può salvare il mondo da una catastrofe umana e ambientale. La comprensione lucida con la quale il buddhismo contempla l’impermanenza dei fenomeni e l’impossibilità di definirne la loro realtà e concretezza, incontra la scienza con la quale intrattiene un dibattito in dinamismo continuo.
La presenza alla 18ma Conferenza Sakyadhita delle monache buddhiste occidentali della tradizione tibetana, confermata dai vestiti bordeaux che comparivano fra vesti bianche, grigie, rosa, amaranto, una presenza visibile grazie anche all’impegno della venerabile Karma Lekshe Tsomo, la fondatrice, e della venerabile Tenzin Palmo, fervida sostenitrice sin dall’inizio, e agli interventi sul palco di altre venerabili monache ha definito una sicura appartenenza del Sangha occidentale all’universo variegato del buddhismo. Ha incrinato in modo definitivo, quel senso di isolamento e di non identificazione con il quale, in particolare le monache, spesso sottovalutate nell’ambito del loro apporto agli insegnamenti del Dharma, si sono dovute confrontare.
E’ stato meraviglioso constatare come il valore di una scelta, il monachesimo femminile, sia occidentale che orientale, possa costruire un ponte avvicinando un mondo in declino a una fonte di energia e di calore, una fiamma che si alimenta nella condivisione di un intento comune e che certo arderà nei tempi dei tempi.