Le riflessioni quotidiane della Ven. Tenzin Palmo (maggio 2024)
17 Giugno 2024Come fare gli tza tza di Lucia Tenzin Bani
17 Giugno 2024Karma Lekshe Tsomo, Gender Equity and Human Rights, in Dignity & Discipline, ed. by Thea Mohr and Jampa Tsedroen, Wisdom Publications, Boston, pp. 281-289.
Karma Lekshe Tsomo, Equità di genere e diritti umani
Traduzione a cura di Sakyadhita Italy
Negli ultimi cinquant’anni, gli sforzi per portare la donna al centro della società hanno subito una forte accelerazione. Sono stati fatti progressi in molti settori grazie al coraggio e all’impegno coscienziosi di donne e uomini. Tuttavia, purtroppo, l’idea della parità di diritti rimane un sogno per le donne nella maggior parte delle società. Atteggiamenti obsoleti sulla natura e sul potenziale delle donne continuano a mantenere le figura femminile in una posizione di svantaggio a livello politico, economico, educativo e religioso. L’uguaglianza di genere è un principio fondamentale della Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e della Risoluzione 1325 delle Nazioni Unite. Nonostante ciò, la discriminazione di genere continua in tutte le società umane. L’incapacità di offrire un’istruzione adeguata a una metà della popolazione mondiale riflette questa discriminazione, portando a enormi sofferenze in tutto il mondo, soprattutto per le donne e i bambini.
Le tradizioni religiose che contribuiscono a plasmare l’atteggiamento della società verso le donne e anche l’atteggiamento delle donne verso se stesse, spesso trasmettono messaggi contrastanti. Le principali religioni del mondo – buddismo, induismo, cristianesimo, ebraismo e islam – affermano che le donne e gli uomini hanno un potenziale uguale, sia rispetto alla liberazione che al cospetto di un essere superiore, ma le realtà sociali rivelano una forte contraddizione tra retorica e realtà. Le donne continuano a non avere una rappresentanza paritaria nelle istituzioni sociali, politiche e religiose. Per molti, l’incapacità delle religioni mondiali di essere all’altezza degli ideali che professano non solo espone la loro mancanza di risposta sociale alle esigenze della società umana, ma è anche ipocrita.
I dibattiti contemporanei sui diritti umani sollevano due questioni importanti. La prima è una questione politica: il linguaggio dei diritti umani è applicabile a tutti gli esseri umani in modo trasversale in tutte le culture e le società o nasce da un contesto o da una dinamica specifica, tanto che potrebbe non essere applicabile a tutti? Ad esempio, la Repubblica Popolare Cinese sostiene che il concetto di diritti umani è stato formulato in un contesto europeo ed è un’imposizione occidentale su culture non europee, mentre molti altri, tra cui Sua Santità il Dalai Lama, ritengono che i diritti umani siano universali e derivino naturalmente dai concetti di compassione e interdipendenza. La seconda questione sollevata nel dibattito sui diritti umani è di carattere filosofico: qual è la natura dei diritti umani e a chi si applicano?
Si possono muovere tre critiche principali alla filosofia contemporanea dei diritti umani. La prima è che la dottrina dei diritti umani è semplicemente un concetto astratto, avulso dai bisogni umani reali. Tuttavia, la dottrina è effettivamente rivolta ai bisogni e alle disuguaglianze umane. Le Nazioni Unite hanno documentato che il 60 percento del lavoro nel mondo è svolto dalle donne, ma solo il 20 percento della ricchezza mondiale appartiene alle donne e solo l’uno percento della terra. È chiaro che le donne non si preoccupano solo di concetti astratti come il diritto alla “vita, alla libertà, alla libertà di espressione e all’uguaglianza davanti alla legge e ai diritti sociali, culturali ed economici” ma anche di esigenze molto reali come il cibo e l’istruzione.
La seconda critica è che la dottrina contemporanea dei diritti umani è una teoria occidentale e quindi la sua applicazione è un’imposizione occidentale radicata nell’egemonia occidentale. Sebbene si possa legittimamente sostenere che la teoria dei diritti umani sia di origine occidentale, radicata nel pensiero illuminista europeo e negli ideali umanisti secolari, ciò non la rende un’imposizione culturale. A prescindere dalle loro origini, i diritti umani sono ugualmente applicabili agli esseri umani indipendentemente dal genere e dalle caratteristiche. Nessuno, in nessuna cultura o società, desidera essere privato di cibo, riparo, salute o istruzione adeguati. Tutte le persone pensanti apprezzano la libertà di pensare come vogliono, di credere in ciò che vogliono e di relazionarsi con chi vogliono. Come mi disse una volta un bhikṣuṇī di Hong Kong: “Anche gli uccelli e i cani desiderano essere liberi. Perché gli esseri umani non dovrebbero volere lo stesso?”.
La terza principale critica è che la dottrina contemporanea dei diritti umani è un sogno irraggiungibile. Poiché gli esseri umani sono egoisti, secondo questa tesi, ci saranno sempre coloro che prenderanno più del necessario; gli esseri umani si accaparrano naturalmente il potere e la ricchezza e alcuni possono farlo a discapito degli altri. Statisticamente, c‘è abbastanza cibo per la popolazione mondiale; semplicemente non è distribuito in modo equo. Le sofferenze del mondo sono in gran parte dovute alle disuguaglianze nella distribuzione delle risorse. La povertà sproporzionata di donne e bambini è un esempio lampante. Nel complesso, le donne sono gli esseri umani più poveri, affamati, meno istruiti, meno emancipati e più vulnerabili della Terra. Affrontare le disuguaglianze di genere è quindi di importanza cruciale nell’attuazione della teoria dei diritti umani nella pratica effettiva.
I buddisti di tutto il mondo sostengono che il Buddismo è una religione di pari opportunità e dichiarano con orgoglio che l’illuminazione è ugualmente disponibile per tutti, sia donne che uomini. Ma le barriere all’istruzione e all’ordinazione femminile rivelano che le donne non sono istituzionalmente uguali, né in teoria né in pratica. Anche se si presume che le donne abbiano lo stesso potenziale per raggiungere la liberazione o l’illuminazione, hanno davvero le stesse opportunità di realizzare tale potenziale?
Filosoficamente, i buddisti sostengono che tutti gli esseri senzienti hanno il potenziale per raggiungere la liberazione o l’illuminazione. La logica di questa affermazione è semplice. La liberazione o l’illuminazione si ottiene purificando la propria mente da tutte le afflizioni mentali. Tutti gli esseri che possiedono la coscienza, siano essi di sesso femminile o maschile, sono in grado di raggiungere questi obiettivi. Tuttavia, il processo di purificazione della coscienza richiede conoscenza e condizioni favorevoli per la pratica. Il processo di educazione mentale o sviluppo spirituale è tradizionalmente inquadrato come l’ascolto, la contemplazione e la meditazione degli insegnamenti del Buddha. Sebbene tutti gli esseri senzienti (esseri con coscienza) abbiano teoricamente il potenziale per raggiungere la liberazione o l’illuminazione, è ovvio che gli esseri in stati di esistenza sfortunati affrontano così tanti ostacoli che è praticamente impossibile per loro raggiungere questi obiettivi mentre si trovano in quegli stati. Si dice che gli esseri in stati di esistenza sfortunati raggiungeranno i frutti del sentiero alla fine, ma è solo come essere umano dotato di intelligenza, tempo libero e opportunità sufficienti che si è in grado di realizzare questo potenziale.
Questo significa che alcuni esseri senzienti hanno maggiori possibilità di altri di raggiungere l’illuminazione? La risposta è sì. Poiché le circostanze per raggiungere l’illuminazione differiscono notevolmente per gli esseri che si trovano in circostanze diverse, alcuni hanno maggiori possibilità di altri di realizzare il loro potenziale. Per esempio, sebbene si dica che tutti gli esseri senzienti abbiano il potenziale di purificare la propria mente e di raggiungere il risveglio, la probabilità che una rana realizzi tale potenziale è molto diversa dalla quella di un essere umano nato in una famiglia devotamente religiosa in una società buddista, dove sono disponibili tutte le conoscenze e le risorse per raggiungere il risveglio.
Un ragionamento simile può essere applicato quando ci si interroga sui potenziali delle donne e degli uomini. Poiché tutti gli esseri senzienti possono raggiungere l’illuminazione e le donne sono esseri senzienti, ne consegue che le donne hanno il potenziale per raggiungere l’illuminazione. La questione è se le donne hanno le stesse opportunità di realizzare questo potenziale. Naturalmente, la probabilità che le donne realizzino questo potenziale dipende dalla loro condizione individuale. Le donne possono possedere una preziosa rinascita umana ma essere limitate da fattori sociali e culturali, come i condizionamenti della prima infanzia (ad esempio, la necessità di partorire e prendersi cura dei figli), i preconcetti sulla loro incapacità (abilismo interiorizzato) e le particolari restrizioni religiose (gli otto gurudharma, o regole speciali per le monache buddiste). Questi vincoli sociali, culturali e religiosi, che spesso non si applicano agli uomini, possono ostacolare la capacità delle donne di realizzare gli obiettivi del percorso. Anche se alle donne viene assicurato un uguale potenziale di risveglio, in realtà la probabilità delle donne di raggiungere questo obiettivo può differire notevolmente da quella degli uomini a causa di una miriade di vincoli. Tra i principali vincoli che le donne devono affrontare nelle società buddiste ci sono le minori opportunità di ricevere un’educazione buddista sistematica e le minori opportunità di ricevere l’ordinazione, soprattutto l’ordinazione completa.
Resta da chiedersi se questi vincoli derivino dalle parole del Buddha o dalle aspettative sociali e dalle burocrazie religiose. In sostanza, la preoccupazione centrale dei buddisti è la purificazione della coscienza, e la coscienza non ha genere. L’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza e non c’è dubbio che le donne soffrano in egual misura e forse in misura significativamente maggiore rispetto agli uomini. Le sofferenze delle donne non sono dovute solo a fattori associati alla loro natura fisica, che tradizionalmente viene rappresentata come più debole; le sofferenze delle donne sono dovute anche a restrizioni e violenze di genere. Anche quando le donne sviluppano una forte determinazione a purificare la propria coscienza da tutti le contaminazioni, come viene indicato, spesso è loro negato l’accesso alle conoscenze e alle condizioni per la pratica necessarie per riuscire.
Alle donne viene spesso consigliato di accettare la realtà della discriminazione di genere e di affrontarla con umiltà, come forma di pratica. Tuttavia, agli uomini viene raramente insegnato a riflettere sulle afflizioni mentali associate alla discriminazione di genere e agli atteggiamenti antiquati nei confronti delle donne, come forma di pratica. Alle monache viene spesso detto che i precetti dell’ordinazione completa sono molto difficili da osservare e che per loro è sufficiente osservare otto o dieci precetti, ma ai monaci non viene mai consigliato di rinunciare all’ordinazione completa e di rimanere novizi a vita. Nella tradizione tibetana, alle monache non è permesso studiare il Bhikṣuṇī Vinaya, i codici monastici per le monache, perché non sono pienamente ordinate, anche se questa conoscenza è necessaria per qualificarsi per il grado di geshé negli studi filosofici. Questa restrizione impedisce alle donne di raggiungere la leadership intellettuale in questa tradizione. La discriminazione contro le donne nell’educazione monastica e nell’ordinazione priva le donne delle pari opportunità di ascoltare, contemplare e meditare gli insegnamenti del Buddha. Per questi motivi, la mancanza di una piena inclusione delle donne nel sistema monastico è sbagliata sia dal punto di vista buddista che da quello dei diritti umani.
Si dice che il Buddha abbia raccomandato ai suoi seguaci di “vedere le cose come sono realmente”. In questa ottica, è utile ricordare che il Buddismo si è sviluppato in un contesto culturale brahmanico nell’India antica, in cui le donne erano completamente subordinate agli uomini. Nella narrazione tradizionale, il Buddha inizialmente esitò ad ammettere le donne nel Saṅgha. Una probabile ragione era la preoccupazione per come questo potesse essere percepito nella società, nell’intento di garantire che i suoi insegnamenti non venissero screditati o rifiutati in una cultura patriarcale. Permettere alle donne di lasciare la famiglia e di intraprendere lo stile di vita mendicante del Saṅgha sarebbe stato così insolito, scomodo e controculturale che avrebbe potuto compromettere l’accettazione sociale degli insegnamenti del Buddha.
Oggi viviamo in una società molto diversa, in cui le donne sono accettate come esseri umani a tutti gli effetti, con tutti i diritti e le libertà di cui godono gli altri esseri umani. Asserire l’inferiorità delle donne o limitare l’ammissione delle donne agli ordini monastici sulla base del sesso non solo contravviene all’etica buddista, ma è tristemente fuori dal tempo. Se oggi i buddisti discriminano le donne in base al sesso, è probabile che le persone pensanti rifiutino il Buddismo in quanto superato, incoerente e non valido. “Vedere la realtà così com’è” significa vedere che la discriminazione di genere è in contraddizione con i principi buddisti e contraria alle norme delle società illuminate. Se le donne sono escluse dalle istituzioni religiose, il loro accesso alla conoscenza religiosa è limitato. Se le donne sono limitate nelle loro opportunità di ascoltare, contemplare e praticare gli insegnamenti del Buddha – le basi per raggiungere le realizzazioni spirituali e il risveglio – allora il loro potenziale di raggiungere l’illuminazione è gravemente limitato. Escludere le donne dalla piena appartenenza al saṅgha – considerato il miglior canale per realizzare i frutti del percorso buddista – significa privare le donne delle circostanze ottimali per liberarsi dalla sofferenza. La gentilezza amorevole, un valore buddista fondamentale, implica il riconoscimento dell’immensità della sofferenza umana causata dalla discriminazione di genere, sia per gli individui che per la società. Escludere metà della popolazione umana dai benefici della pratica buddista contraddice sia la saggezza buddista che lo spirito di compassione.
Vent’anni fa, Sakyadhita (“Figlie del Buddha”) ha iniziato un movimento per dare voce alle preoccupazioni e alle aspirazioni più profonde delle donne. Da allora, il movimento è diventato un catalizzatore del cambiamento nella vita di milioni di donne (e uomini) in tutto il mondo. Quando le donne creano una rete e si scambiano idee, scoprono la loro diversità e le sfide simili che affrontano come praticanti buddiste. Essere buddista in Laos o in Mongolia è molto diverso dall’essere buddista a Londra o a New York, ma l’esperienza di essere donna unisce buddisti di culture e provenienze molto diverse.
Dal 1987, le donne buddiste di tutto il mondo hanno iniziato a unirsi a livello globale e ad assumere nuovi ruoli nel lavoro per il benessere della società umana. Rappresentando circa 300 milioni di donne in tutto il mondo, il movimento femminile buddista è emerso dall’ombra alla ribalta internazionale come forza altamente dinamica per il cambiamento sociale. In presenza di pari opportunità, le donne buddiste hanno un enorme potenziale di trasformazione globale.
Lavorare per l’equità di genere nel buddismo non è stato facile. Il rifiuto e la resistenza persistono. Le sostenitrici dell’equità di genere sono state denigrate, calunniate e intimidite, ma molte hanno continuato ad andare avanti con costanza e coraggio, lavorando per sradicare l’ignoranza e la discriminazione. Tuttavia, ancora oggi, quando il valore dei diritti delle donne è dato per scontato nella maggior parte del mondo, gli sforzi delle donne buddiste per raggiungere l’equità di genere sono spesso visti come una minaccia. Le sostenitrici vengono avvertite di non sollevare il tema dei diritti delle donne, perché potrebbero offendere i monaci. Dal momento che è perfettamente accettabile, persino ammirevole, difendere i diritti umani, perché i diritti delle donne dovrebbero essere percepiti come un pericolo?
Forse la liberazione delle donne buddiste è vista come una minaccia a causa del loro grande numero. Ma come ha detto Sua Santità il Dalai Lama, “La pace può durare solo dove i diritti umani sono rispettati, dove le persone hanno cibo sufficiente e dove gli individui e le nazioni sono liberi”. Purtroppo, fino a quando i diritti religiosi delle donne buddiste non saranno rispettati garantendo loro il diritto di ricevere l’ordinazione completa, non si potrà dire che il Buddismo offre pari opportunità alle donne. Negare l’ordinazione completa alle donne non è solo una questione di legge monastica e non può essere spiegato semplicemente come l’influenza del sessismo nella società. Le istituzioni buddiste devono riconoscere pari diritti alle donne per essere coerenti con il messaggio di liberazione sociale del Buddismo. Convinte dalla logica di questo ragionamento, le donne hanno lavorato pazientemente per assumere le loro piene responsabilità come membri della comunità buddista, rifiutando di essere messe a tacere, e i risultati finora sono stati molto incoraggianti. La reintegrazione del bhikṣuṇī saṅgha nello Sri Lanka nel 1998, dopo un periodo di quasi mille anni, è stata una pietra miliare. La libertà di ricevere un’ordinazione completa non è solo nell’interesse delle donne, ma anche nell’interesse della società in generale, poiché aiuta a ottimizzare il potenziale di tutti gli esseri umani. Le animate discussioni sul tema dell’ordinazione tra gli studiosi, i praticanti e i sostenitori dei diritti umani ad Amburgo hanno testimoniato il crescente sostegno alla liberazione sociale delle donne buddiste.
Nel linguaggio buddista tradizionale, gli esseri umani sono composti da cinque aggregati o componenti: corpi, sensazioni, percezioni, propensioni karmiche e flussi di coscienza in continua evoluzione. La coscienza è l’aggregato più significativo, perché è centrale per la percezione e il processo decisionale. La coscienza (“conoscenza e consapevolezza”) è influenzata da molti fattori, tra cui l’educazione e il contesto sociale. Tuttavia, la natura stessa della coscienza non è caratterizzata dal genere. Nel corso del tempo, durante molte vite, gli esseri senzienti rinascono in modo intermittente, sia come maschi che come femmine. Gli esseri umani hanno la capacità di trasformare i loro stati di coscienza individuali, indipendentemente dal fatto che siano di sesso femminile o maschile. Quindi, dal punto di vista della coscienza, lo sviluppo umano non dipende dal genere, né il genere è intrinseco nella natura umana.
Nel mondo travagliato di oggi, la più grande speranza dell’umanità è che una massa critica della popolazione mondiale si svegli e rifiuti le immagini che la rendono schiava del potere, del denaro, della violenza e dell’avidità. Le aziende globali, i governi e le istituzioni religiose cambieranno solo quando le persone si attiveranno e chiederanno loro di farlo. Le persone compassionevoli hanno la responsabilità di reagire e farsi sentire per contribuire a correggere le ingiustizie sociali.
I diritti comportano dei doveri sia per le donne che per gli uomini. Nelle società asiatiche i monaci accettano donazioni da donne laiche, ne consegue quindi un obbligo nei confronti dei loro benefattori: la responsabilità di rispettare i diritti delle donne e di astenersi dal violarli, ma anche, credo, il dovere di parlare chiaramente contro le ingiustizie nei confronti delle donne. Qual messaggio si trasmette se i monaci sono disposti a scendere in piazza per protestare contro la tassazione governativa delle proprietà terriere monastiche, ma rimangono in silenzio sul traffico di donne e bambini? Nelle società in cui vengono sostenute le nozioni buddiste di liberazione dalla sofferenza, le sofferenze causate dall’esclusione delle donne e i danni provocati dal perpetuarsi, per generazioni, del mito secondo cui le donne sono una forma inferiore di rinascita devono essere esposti e affrontati.
Quali rimedi hanno i buddisti per risolvere questi problemi? Come altre religioni, il sentiero buddista offre la speranza di una vita futura migliore e la possibilità di liberarsi dalla sofferenza per coloro che praticano la virtù. Viene data grande importanza all’impegno a compire azioni salutari ed evitare azioni non salutari, per quanto piccole. Si può tuttavia sostenere che le donne siano svantaggiate nel perseguire la virtù, poiché le aspettative per le donne sono generalmente limitate alla vita familiare o al glamour, situazioni che non garantiscono il benessere nell’aldilà o il progresso nel cammino verso la liberazione. Tuttavia, se le donne dovessero rifiutare queste prospettive e dedicare la loro vita alla ricerca religiosa, spesso scoprirebbero di avere opzioni limitate. È qui che il buddismo può rivelare delle carenze nei confronti delle donne. Le ricompense promesse dalla pratica religiosa sono le stesse per le donne e per gli uomini, ma i mezzi per ottenerle sono seriamente limitati per le donne e spesso del tutto interdetti. Negando le opportunità alle donne, le istituzioni buddiste entrano in conflitto diretto con i diritti umani, come il diritto alla libertà religiosa, promessi alle donne. Questa contraddizione non è solo un’enorme delusione per le donne che si aspettano di meglio dalle istituzioni buddiste; è anche motivo di imbarazzo internazionale se le istituzioni buddiste perpetuano queste disuguaglianze.
In generale, il termine diritti umani indica che gli esseri umani possiedono alcuni diritti e libertà fondamentali. I diritti e le libertà religiose sono tipicamente considerati tra i più basilari di tutti i diritti umani. Per praticare liberamente il Dharma, tutti gli esseri umani, sia donne che uomini, devono avere accesso a pari opportunità per studiare e praticare il loro credo e perseguire i loro obiettivi religiosi. Proprio come i Paesi che rifiutano alle donne il diritto di voto sono oggi considerati arretrati, i buddisti passeranno certamente dalla parte sbagliata della storia se negheranno alle donne i diritti e le libertà fondamentali. Allo stesso tempo, è evidente che l’accesso all’ordinazione completa per le donne deve andare di pari passo con l’educazione buddista e il sostegno della comunità alle donne nella vita monastica. Con pari opportunità di istruzione e ordinazione, le donne promettono di diventare pilastri della tradizione, portando molti benefici alle società buddiste e alla società umana nel suo complesso. Riconoscere la piena ordinazione delle donne non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche una semplice questione di buon senso.