Le donne Buddhiste non sono di seconda classe
27 Marzo 2024Madri divine e donne in cammino
10 Giugno 2024Buddhist Monastic Women as Conduits of Charismatic Autorithy by Nicholas Witkowski Monache Buddhiste come Veicoli di Autorità Carismatica Sakyadhita International Association of Buddhist Women – Review Winter 2024, Proceedings, pp. 12-13 di Nicholas Witkowski Traduzione in italiano a cura di Sakyadhita Italia Negli ultimi anni molti di noi, nel mondo buddhista, hanno ripensato a come la ricerca sul Vinaya delle Bhikṣuṇī possa contribuire nel modo migliore al dialogo sul futuro di questa istituzione. Gli ultimi due decenni di attivismo all’interno del mondo buddhista, hanno aumentato drammaticamente la consapevolezza, sia delle gerarchie monastiche, sia delle comunità laiche, dell‘incalcolabile valore di un Sangha di Bhikṣuṇī ampio ed espanso che sia una piena espressione dei molti modi in cui le donne si impegnano nella pratica del Dharma. Naturalmente, quando ci si rivolge al Vinaya Bhikṣuṇī per riflettere sulle radici della pratica contemporanea delle Bhikṣuṇī, Mahāprajāpati occupa un posto d’onore come fondatrice del Sangha Bhikṣuṇī. I fondatori di una tradizione ricevono un’enorme attenzione – e così dovrebbe essere, perché sono i primi ad aprire la porta. Ma altrettanto importanti sono quelle figure meno conosciute della storia buddhista che hanno mantenuta aperta la porta alla pratica monastica femminile, di fronte alle forze patriarcali intenzionate a limitare, o addirittura a estinguere, la presenza del Sangha monastico femminile. In questa sede vorrei raccontare brevemente la storia poco conosciuta della monaca Śuklā, della tradizione del Vinaya Mahāsāṃghika, perché sostiene, in modo decisivo, il ruolo che le Bhikṣhuṇī hanno costantemente avuto nel rappresentare, con autorevolezza, l’ordine buddhista all’interno di spazi pubblici dominati dal maschile. La storia raccontata nel Vinaya non inizia con l’ordinazione di Śuklā, ma nel contesto domestico che precede la vita monastica, per dimostrare che, all’interno della casa, la sua posizione diretta contro il paternalismo maschile fu audace, potente e persino ribelle, indicando con evidenza la sua futura statura di leader carismatico nel Sangha. A un certo punto della storia, la frustrazione di Śuklā nei confronti del marito si intensificò e la portò ad esclamare: “Al diavolo questo stile di vita domestico. Benchè io desideri solo compiacere, ascolto al mio riguardo solo cose spiacevoli”. Non volendo più tollerare gli abusi del marito, Śuklā si unì immediatamente al Sangha di Buddha. Fin dall’inizio, venne istruita da monache anziane che riconobbero la sua capacità spirituale; sotto la loro guida, padroneggiò rapidamente pratiche di meditazione profonda e raggiunse stadi avanzati di realizzazione. E’ interessante notare che il racconto non evidenzia le sue ulteriori imprese meditative o la sua saggia leadership, ma rileva le forti tensioni all’interno della comunità, derivanti da un profondo malessere per la sua popolarità di carismatica predicatrice Śuklā veniva invitata di casa in casa a recitare testi sacri. Riceveva offerte e donazioni, era famosa e stimata e le sue compagne Bhikṣuṇī erano gelose di lei. Non avendo le sue capacità, dicevano: “Ha fatto un incantesimo ed è per questa ragione che le persone la seguono e hanno fede in lei”. Andarono quindi dal Signore Buddha e gli dissero: “Ha fatto un incantesimo”. Il Signore Buddha la interpellò: “È vero che hai fatto un tale incantesimo così da costringere la gente a doverti ascoltare?” Lei rispose: “Non conosco nessun incantesimo, Signore. Come potrei fare un incantesimo?”. Il Signore proclamò: “Non ha fatto alcun incantesimo”. Qui troviamo un esempio del classico luogo comune per cui si presume che una donna con autorevolezza, con potere carismatico, sia una strega, una forza maligna, una maga. Forse, ancora più sorprendente è che questo aspro e duro sistema patriarcale sia sostenuto dalle altre monache. Alla fine di questa vicenda il Buddha, che rappresenta l’autorità di questo Sangha, scagiona Śuklā, accettando così che il potere del Dharma, che accorda a un monaco pubblica autorità, riguardi anche i corpi delle donne praticanti. E’ importante sottolineare che questa testimonianza presuppone un sostanziale elemento patriarcale conservatore all’interno del Sangha, anche tra le compagne Bhikṣuṇī, che manipola l’opinione pubblica per screditare la reputazione pubblica delle monache che hanno un ruolo di leader negli spazi pubblici. Il testo afferma che “lei (Śuklā) è invitata da una casa all‘altra per predicare il Dharma (bhasanaka). Il Buddhist Hybrid Sanskrit Dictionary di Edgerton definisce il bhasanaka come “espositore o conoscitore di testi sacri”. Qui Śuklā rappresenta la figura di una monaca che occupa un ruolo riservato principalmente ai monaci, quello di insegnare ai laici e, in particolare, di trasmettere il Dharma. In contrasto con il luogo comune secondo cui le donne usano il loro corpo come strumento pedagogico che serve esclusivamente a spegnere il fuoco del desiderio sessuale maschile (ampiamente documentato nel lavoro di Liz Wilson), in questo racconto il corpo di Śuklā non viene mai discusso. L’immagine di Śuklā, qui rappresentata, si discosta drasticamente dalle immagini erotiche androcentriche dei corpi femminili nelle scritture buddhiste, in quanto il punto di contestazione è solo la natura della sua abilità retorica; in altre parole, se Śuklā stia rappresentando correttamente o meno il Sangha, nel predicare il Dharma. In tutta il suo intero operato, Karma Lekshe Tsomo ha sfidato le fazioni “conservatrici” contemporanee di monaci anziani, quelle intenzionate a impedire alle donne di esercitare pubblicamente la loro attività in nome del Sangha. Il caso di Śuklā all’interno del Vinaya Bhikṣuṇī evidenzia la natura di lunga durata di questo conflitto tra le forze conservatrici patriarcali, che vedono come un problema le donne in posizioni di potere, e quelle che vedono il Sangha come un contesto in cui donne e uomini debbano incontrarsi in condizioni di parità. Nonostante i tentativi conservatori di eliminare la presenza di Śuklā dagli spazi pubblici, questa bhikṣhuṇī insiste nel definire la vocazione monastica femminile come un ruolo di impegno pubblico. La sua difesa delle monache come pubbliche divulgatrici del Dharma è rafforzata dalla relazione reciproca che ha con un certo numero di famiglie entusiaste. Viene ripetutamente invitata da esponenti delle famiglie indiane –presumibilmente dai capifamiglia maschi- a parlare in nome del Buddha-Sangha. In effetti, i giuristi monaci, responsabili della compilazione del Vinaya delle Bhikṣuṇī rappresentarono l’autorità di Śuklā come quella di una bhāṣaṇaka del Dharma, e conclusero affermando: “Si ritiene che tutto il popolo debba ascoltarla e avere fede in lei”. Il fatto che i patres familias dovessero ascoltarla e avere fede in lei è significativo, perché utilizzando questa terminologia, il testo segnala come il suo discorso del Buddha-Dharma fosse puro. Le fazioni “conservatrici” contemporanee dovrebbero prendere nota dei casi legalmente riconosciuti del Vinaya, come quello di Śuklā, poiché gli arbitri finali di questo caso conclusero che il suo ruolo pubblico di Maestra del Dharma, rivolto sia alle donne che agli uomini, non dovesse essere impugnato. |