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Titolo originale: Reflections on a Mountain Lake. Teachings on Practical Buddhism, Snow Lion, Boston & London, 2002, pp. 81-85.
(Traduzione dall’inglese a cura di Sakyadhita Italia)
Domanda: Qual è il significato della parola togdenma?
TP: Le parole togden e togdenma sono termini tibetani per il tipo di yogin e yogini di cui parlavamo. Attualmente nel monastero del mio Lama abbiamo un gruppo di togden. Seguono la tradizione di Milarepa e portano i dreadlock infeltriti e la gonna bianca, ma sono monaci maschi. In Tibet vivevano nelle grotte e hanno un modo tutto loro di praticare. E in Tibet, come dicevamo, c’erano anche delle praticanti donne di questo lignaggio, chiamate togdenma. Per quello che ne so, la loro pratica era più o meno uguale, ma c’erano anche dei lignaggi particolari che enfatizzavano l’aspetto femminile. Presumo che questo avesse a che fare con le meditazioni sul ‘calore interiore’ (tummo) e le energie yogiche, dal punto di vista femminile. La maggior parte dei testi sono scritti da un punto di vista maschile e parlano della trasmutazione delle energie maschili. Ma tutte le togdenma vissero in posti isolati e dedicarono le loro vite a quelle pratiche yogiche.
Domanda: Perché le monache vengono ostacolate ancora oggi?
TP: Non lo so, ma di certo non è solo colpa degli uomini. Prendiamo come esempio Lahoul, dove vivevo io. Erano le monache stesse, che per certi versi erano trattate come cittadine di serie B, sebbene fossero una presenza molto autorevole in alcuni contesti, le quali ostacolavano le altre monache nel loro cammino e nel loro apprendimento. Allo stesso modo, quando una donna indiana si sposa, e lascia la sua famiglia per unirsi a quella del marito, teme non solo il marito e il suocero, ma anche la suocera e le cognate. Sono loro che la schiacceranno e la terranno al ‘suo ‘posto. Quindi la sottomissione delle donne non è assolutamente solo colpa degli uomini. Le donne hanno contribuito a mantenere questa situazione, e hanno anche represso le altre donne. Se c’è una ragazza molto intelligente che cerca di fare strada nella sua vita, spesso, sono le altre donne che le mettono il bastone tra le ruote. In Oriente questo lo possiamo vedere molto spesso, e sono sicura che questa succeda anche in Occidente. Prendi una figura come Hillary Clinton, ad esempio, una figura di rilievo, che sembrerebbe il sogno del femminismo, ma le persone che più la demoliscono sono altre donne. Chi si opponeva di più alle suffragette nel secolo scorso? La regina Vittoria. Questo è certo un fenomeno interessante.
Domanda: Potresti spiegare in più dettaglio le differenze tra le pratiche delle monache e delle yogini?
TP: Bene, le pratiche principali per un monaco o monaca in un monastero tibetano, per esempio, sono lo studio e il rito. Nel ciclo tibetano, come in un monastero benedettino, molta attenzione viene prestata al rito, e a partecipare al rito comunitario tutti insieme. Nei monasteri tibetani, i monaci si radunano almeno due volte al giorno, e una grande parte di quello che i cattolici chiamano il calendario liturgico viene dedicato a riti che occupano tutto il giorno, e che durano una settimana o 10 giorni. Seguire il rito è molto importante nel buddhismo tibetano così come viene praticato dai tibetani. D’altro canto, il punto focale per gli yogin e le yogini è la meditazione, le pratiche di yoga interiori, la manipolazione delle energie, l’apertura dei canali psichici e cose di questo genere. E anche se può capitare che i monaci e le monache vadano a fare lunghi ritiri per dedicarsi a questo tipo di pratiche, gli yogin e le yogini sono gli specialisti in questo campo. Sono loro i veri esperti. Il fatto è che essi dedicano tutta la loro vita a questo, e non sono così coinvolti in quello che succede nei monasteri. Ecco questa è la differenza principale.
Domanda: Perché il Buddha è sempre un uomo?
TP: Beh, dentro di me c’è una voce che dice: “Ha una qualche importanza che Buddha sia uomo o donna?” Buddha era una un essere illuminato, e la sua mente era oltre il maschile e il femminile. Ovviamente, negli anni, ci sono state donne incredibili la cui mente era tutt’uno con il Buddha, e chiaramente nella tradizione tantrica ci sono molte figure femminili, come Tara e Vajrayogini. Vajrayogini, ad esempio, è considerata la madre di tutti i Buddha. Essa simboleggia questa energia femminile. E in tanti modi il Buddha era più o meno androgino. Molti dei grandi lama hanno delle qualità sia maschili che femminili. Sono sia madre che padre.
ILa parola “lama”, infatti, significa “alta madre”. “Ma” è femminile. Non si dice “la-pa”. E come sai, la mente illuminata non è né maschile né femminile. Una volta chiesi al mio Lama, Khamtrul Rinpoche, “Perché, secondo te, non ci sono più incarnazioni femminili? Perché non rinasci come donna qualche volta?” . Rispose: “Mia sorella aveva più segni di me alla sua nascita, e quando lei stava arrivando tutti dicevano, “Wow, deve essere un essere molto speciale che sta arrivando.” Ma appena è nata, dissero, “Oh, ci siamo sbagliati!” Vedi, se fosse stata maschio, avrebbero provato immediatamente a scoprire chi fosse questo bimbo, e sarebbe stato cresciuto con un’attenzione molto speciale. Ma visto che era ‘soltanto’ una femmina, non le è stata data questa possibilità. Ha dovuto sposarsi e così via. Questo era il problema: se rinascessi femmina difficilmente potrei ricevere l’istruzione e le opportunità che sono riservate ai maschi. Penso che ora le cose inizieranno a cambiare. Ma tutto ciò non significa che la mente di mia sorella non fosse meravigliosa, e che a suo modo non vrebbe potuto essere di beneficio a molti esseri. Uno può essere di beneficio agli altri in molti modi, non soltanto sedendosi su un trono. Sono sicura che molti bodhisattva hanno assunto una forma femminile, portando beneficio a molti esseri, ma non necessariamente all’interno della struttura del buddhismo tibetano. Non penso che faccia differenza che il Buddha sia maschio o femmina. Per me, Buddha li trascende entrambi. Ma se ti aiuta pensare al Buddha come donna, va bene così.
Domanda: Potresti raccontarci della donna che ha portato a Sua Santità il Dalai Lama il racconto ipotetico di una gerarchia buddhista femminile?
TP: Nel 1992 c’è stato un incontro di 10 giorni in Dharamsala chiamato Western Buddhist Teachers’ Conference, e per quattro giorni l’incontro si svolse in presenza del Dalai Lama. Ogni giorno facevamo delle presentazioni su vari argomenti. Un giorno, una donna di nome Sylvia Wetzel si alzò in piedi davanti al Dalai Lama e a un gruppo di lama tibetani. Disse: “Sua Santità, Venerabili Signori, voglio chiedervi di visualizzare qualcosa. Immaginatevi come maschi che entrano in un tempio. Sull’altare c’è il Buddha femminile Tara. Sui muri ci sono le thangka delle 16 arahati femminili, le 16 sante, e poi c’è una grande thangka delle Lama del lignaggio, dal Buddha al presente. Naturalmente, sono tutte femmine. Davanti alle monache, seduta sul trono, c’è sua Santità la Dalai Lama, che rinasce sempre nel corpo di una donna, perché essa è una forma superiore, che tuttavia ha compassione verso tutti gli esseri senzienti. Ora tu, visto che sei soltanto un maschio, devi sederti in fondo, dietro le file di monache, ma non ti preoccupare, perché proviamo compassione per te, e se ce la metti tutta e preghi intensamente, anche tu potrai rinascere donna.” Ha continuato così. All’inizio il Dalai Lama e i monachi non capivano, ma pian piano mentre lei continuava a sviluppare quest’immagine, iniziarono a capire. E poi scoppiarono a ridere, ma sembravano anche in imbarazzo. Era un esempio perfetto, perché dimostrava esattamente come la pensano i monaci.
Quando ero l’unica monaca in un monastero con 80 monaci, il sentimento era: “Beh, a noi piaci in ogni caso così come se. E non è colpa tua – beh in un certo senso è colpa tua se sei nata come femmina questa volta, ma non ti preoccupare. Fai tanta pratica. La prossima volta puoi tornare qui come maschio e fare parte del nostro monastero.” E non penso che gli venisse in mente che forse non avrei voluto tornare nel loro monastero. Ma va bene così. Non importa. Voglio dire, il Dharma c’è, e noi lo pratichiamo. E dovremmo essere grati di nascere umani. Maschio o femmina, non fa differenza.
Domanda: Vorrei chiederti qualcosa sulla genitorialità come pratica. Quando è nata mia figlia, sentivo che non riuscivo a praticare come avrei voluto. Le persone mi continuavano a dire, “Tua figlia è la tua pratica”, e certamente questo è vero. Ma non riuscivo a trovare un insegnante di meditazione che potesse istruirmi con una pratica formale. Tu che cosa mi avresti consigliato?
TP: Allora, io non ho mai cresciuto un figlio; quindi, sto parlando senza cognizione di causa, ma mi sembra che l’attività genitoriale in sé comprenda molte pratiche. Prima di tutto, essere presente nel momento, stare con il bambino, fare esperienza del bambino. Poi ci sono tutte le altre cose come la generosità, tutto quello che dai, non soltanto le cose materiali che dai, quello è il meno, probabilmente, ma il tempo che dai, l’attenzione che dai, e la pratica della pazienza. C’è l’impegno che metti, e la dedizione, perché non è che puoi lasciare lì il bimbo e andartene. Quando i bimbi ti infastidiscono o quando hai qualcos’altro da fare, non è che puoi metterli fuori dalla porta come un gatto e dimenticarti di loro. Li hai sempre. Sono sempre con te. Anche quando non sono presenti, pensi a loro. E poi c’è tutto questo amore, questa compassione, e il fatto di prendersi cura di un altro essere a parte te stesso. E allo stesso tempo, devi farlo senza attaccamento, devi imparare a creare lo spazio per permettere ial bambino di crescere come un essere indipendente, senza aggrapparti a lui o lei. Ci sono moltissime cose che puoi praticare come genitore.
Domanda: Sento molti racconti di insegnanti famosi e, guarda caso, sono tutti uomini. Questo mi rattrista molto, lo trovo molto scoraggiante. Questo sentimento mi accompagna sempre, da quando sono entrata nel Dharma nel 1986. So che dovrei passare oltre, perché c’è così tanto da imparare nel Dharma, ma quel sentimento persiste. Quando entro nella stanza di meditazione, e mi prostro e guardo l’albero del lignaggio, quel pensiero mi si ripresenta, e mi viene da chiedere perché sono nata donna.
TP: Forse perché abbiamo bisogno di molte autorevoli praticanti donne. Quindi dovresti continuare con la tua pratica, perché in questo modo puoi contribuire al lignaggio femminile. Se vogliamo avere donne insegnanti in Occidente, abbiamo bisogno di donne praticanti. Quindi tocca a voi, signore, praticare e trasmettere i frutti della vostra pratica agli altri. Non c’è altro modo. Non c’è niente che vi impedisca di realizzare il Dharma. E una volta che avete realizzato il Dharma, potete darlo ad altri. Non ci sono scorciatoie. Ora come ora, ci sono molti grandi insegnanti donna in America. E in futuro ce ne saranno sempre di più, perché quando si tengono i ritiri di 3 o 7 o 12 anni, molti dei partecipanti sono donne. Così, quando escono dal ritiro bisognerebbe creare uno spazio per loro e chiedere loro di venire a insegnare. A dire la verità, questo è un momento molto buono per le donne.